1946-'47: Si piomba a "quota 15"

Addì 22.9.1946 non si perde tempo. Si inizia ritornando al girone unico, ma su 20 squadre. Si finirà in piena estate, 6 luglio 1947, come all'epoca dei pionieri.
Facilissimo il pronostico. Il Torino stravince lasciando la rivale concittadina dieci punti sotto, al secondo posto; poi Modena, Milan, Bologna e si scende alquanto per trovare la Lazio 12ma, la Roma addirittura a quota 15, appena due punti sopra il Brescia che retrocede. Col senso di poi si può aggiungere che fu il primo sentore di un fattaccio che doveva fatalmente verificarsi quattro anni dopo.
Squadra titolare: Risorti, Brunella, Andreoli, Matteini, Salar, Schiavetti, Krieziu, Di Paola, Amadei, Renica, Ferrari. Riserve: Francalancia, Contin, Losi (Omero, per non confonderlo con Giacomino), Stabellini e Bordonali. Allenatore: Giovanni Degni.
Partite vinte 12, pareggiate 9, perdute 17. Gol segnati 41, incassati 56. Capocannoniere: Amadei, 31 gol.

Alla vigilia stampa perplessa. Soltanto il mister Degni, vecchia gloria della Fortitudo e dell'Alba, ottimista in apparenza, si dichiarava soddisfatto della formazione. In realtà agli intimi confessava "di avere una paura matta. Baldassarre, politico inveterato, se la pigliava con gli organi federali (diciamo Ottorino Barassi?) che avevano deciso troppo in fretta un girone unico a venti squadre per puntare a maggiori incassi. Poteva andar bene per le società di lassù che ripescavano mecenati del passato e ne scovavano di nuovi. Egli mecenate non poteva essere e forse avvertiva i passi spietati, forieri di un grande ritorno. Renato Sacerdoti rispuntava in ottima forma e amichevolmente aveva fatto sapere che i soci «vitalizi» si stavano contando. Cosa pensava di fare per loro la nuova gestione? Finiranno in tribunale.
Comunque il pessimismo del presidente era giustificato. I quadri erano folti, ma gli scarsi mezzi non avevano permesso acquisti di sicuro rilievo. Anzi la presenza di mezze figure, che mugugnavano dietro le quinte perché non giocavano, rendeva più difficile il compito dell'allenatore. Comunque la Roma vinse netto il primo derby, 3-0, e pareggiò il secondo. Ma fu annichilita in casa dalla Juventus, 1-5; dal Torino 1-3; dalla Sampdoria, dal Livorno, dal Brescia. In trasferta era un materasso, una formazione in cui, accanto a quattro pilastri (non tutti però in fase ascendente) e ad alcuni onesti comprimari, vi erano elementi logori oppure di classe dubbia. La classifica misera e pericolosa non fece dunque grinza.
Per consolarsi, Baldassarre al tirar delle somme disse in una intervista: «non fu sfortuna, fu micragna».
E si concluse in mestizia. Sul finire della stagione (8 maggio 1947) la società e i suoi appassionati sostenitori furono improvvisamente turbati dalla morte di Attilio Ferraris. Avvenne sul campo, a Montecatini, in una partita fra veterani e goliardi. Quasi alla fine del primo tempo Attilio si accasciò a terra e morì subito dopo. Aveva 44 anni. Per il complesso delle qualità, vigore fisico splendido, agonismo irriducibile, più quel misterioso dono che chiamiamo «classe», egli resta nel ricordo come il prodotto più esaltante del calcio romano. Campione del mondo, aveva giocato 31 partite in nazionale. Morì nel tentativo di ignorare la legge degli anni, come sette anni prima era morto il grande terzino azzurro Umberto Caligaris. Fulvio Bernardini, suo amico e grande rivale, ne scrisse il giorno dopo, da giornalista, il più commosso necrologio.

Tratto dal libro AS Roma da Testaccio all'Olimpico (libro edito nel 1977)

 

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